Crema, 09 maggio 2024
(Bernardo Zanini) Gli abitanti di via Valera e via Ginnasio
In via Valera oltre al Fali, c’era Paciarisot, e ci abitavano Bianca Limunéra con suo padre al Limunér che scaricava i vagoni alla stazione e poi al mercato insieme a sua figlia vendeva i limoni, al grido: tri limù cent franc. Risalendo in via Ginnasio c’era il negozio di frutta e verdura del cavaliere Martino Biscotelli poeta cremasco e poi il negozio di Bertino Bonzi, un’altra macchietta cremasca, calzolaio e mercante di articoli vari. Quando andava a fare il mercato a Crema e nel circondario, aveva uno slogan: questa è la merce di mio zio, la fa lui e la vendo io. Bertino, era chiamato dai suoi amici dei Barabèt da San Benedèt: il conte Bonzio. Quando era su di giri dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, si metteva a suonare sulla sua marimba Faccetta Nera ripensando nostalgicamente ai tempi passati. Il conte Bonzio suonava spesso accompagnato da mio padre con la chitarra, da Marchesi e da Virginio Assandri che suonava la tromba e a volte una tastiera della Farfisa. Il conte quando andava dai Barabèt da San Benedèt o quando lo invitavamo a mangiare, recitava la sua filastrocca preferita:
Veneziani gran signori,
Padovani gran dottori,
Vicentini magna gatti,
Veronesi tutti matti,
Udinesi castellani col cognome di Furlani,
Trevisani pan e trippe.
Rovigotti Bacco e pipe,
i Bergamaschi son cojoni,
i Bresciani tagliacantoni,
ne volete di più tristi,
I Cremaschi brusacristi.
Assandri negli ultimi anni prima del suo trapasso si metteva dietro i cespugli dei giardini pubblici e quando passano i corridori e anche chi faceva le marce a piedi gli suonava la carica per incoraggiarli. In via Ginnasio i miei nonni paterni erano i portinai del dottor Conca, mia nonna Cumina aveva l’abitudine di soprannominare i vari passanti abituali della via, così le due cameriere erano chiamate Zampù e Burdeghì, mio nonno Chechi chiamava uno dei conti che passavano nella via, Pompeo, forse perché girava in pompa magna. Secondo la buon anima di Pierino Bassi che abitava di fronte nella via, c’era anche la Contessa Scalza che arrivava puntualmente ogni mattina tenendo le scarpe in mano. Di fronte a dove abitavano i miei nonni c’era Maria da Culumbì che faceva la sarta. In via Ginnasio abitava anche Gino da Caròla che stufo dei suoi parenti che non si facevano mai vedere, lascio in eredità a tre cremaschi presi a caso dalla guida telefonica, 20 milioni ciascuno.
San Benedetto
Nei vicoli di San Benedetto abitava un signore cieco, chiamato Ventürì, ammaestratore di oche e che andava dal barbiere a farsi leggere il giornale. Voci di popolo raccontano che erano di più le oche che mangiava di quelle che riusciva ad ammaestrare. Nel terzo vicolo di San Benedetto c’era la Bigaropoli, dove Bigarì, quando era su di giri a mezzanotte buttava in strada dal solaio delle assi, svegliando tutti i suoi vicini al grido: ma se gh’ó oia da laùrà, cusè che va
’n fréga a ótre
. La piazza Garibaldi e la via Mazzini erano il regno di Pluto, ex bancario in pensione un rompiballe credulone, raccoglieva le offerte durante le messe nella chiesa di San Benedetto. Una domenica mattina durante la messa sta raccogliendo le offerte dei fedeli e si ferma davanti ad un tale, che non aveva voglia di dare l’obolo per la messa. Pluto si fermò per 4 minuti soppesandolo bene e poi gli dette in testa la bèsula delle offerte dicendogli spilorcio, poi scuotendo la testa riprese il suo giro.
Pùlver, Bragǜt, e Mamma Volo
Tra i personaggi che ancora si ricorda la mia generazione dei ragazzi del ’55, erano Pùlver, Bragǜet, e Mamma Volo. Pùlver era l’accalappiacani del comune. Girava in bicicletta per tutta Crema cercando di catturare i cani randagi con una pertica culminante con un cappio di corda fatto col nodo scorsoio. Bragǜt
era il custode del cimitero, da cui è ancora in voga il detto tra i meno giovani ricoverati al Kennedy o alla casa albergo di via Zurla, se vò aanti ansé, vò a truà Bragǜt.
Ma il personaggio clou di Crema è senz’altro Mammavolo. Si chiamava Antonio (o Gaetano?) Pedrinazzi e faceva il rigattiere al Quartierone dove viveva con una combriccola di cagnolini. Secondo la leggenda cremasca, anche se ognuno la racconta come vuole, da piccolo si era buttato dalla finestra del primo piano di casa con un ombrello aperto esclamando «Mamma, volo!», e così gli rimase il nome. Quando da piccoli in prima elementare da San Pietro andavamo a casa a Crema Nuova, passando sotto le sue finestre gridavamo «MammaVolo!» e lui usciva indispettito facendoci rincorrere i suoi cagnetti.
(Fonte: Agostino Giovinetti)
Samarà, Pelét e Cechino Risari
Tra la piazza Garibaldi e piazza Duomo si esibivano due attori comici Samarà e Pelèt, cantando brani di opere per intrattenere il pubblico. Samarà diceva al suo socio «Fai il torero», e l’altro si metteva in posa imitando sia il toro che il torero tra le risate degli astanti. Ogni tanto organizzavano una riffa che aveva come premio finale una gallina, si facevano dare 50 lire a testa dai concorrenti e poi il numero vincente era sempre l’ultimo estratto nella ruota del lotto. Ma stranamente non vinceva mai nessuno, «Té che nömér gh’ét? Al cinquantacinc, pecàt gh’è ignit fora al nuantaquatre».
Ai primi anni del ’900, in fondo an un vicolo cieco esisteva la trattoria degli Angeli, ma i cremaschi la conoscevano come Curt Granda. Al tempo di carnevale, venne bandito un concorso per le nuove maschere, e il proprietario della trattoria si impose sugli altri concorrenti e fu il primo interprete di al Gagèt col so uchèt, così si chiamava e si chiama la tipica maschera cremasca. È la personificazione del contadino che veniva al mercato vestito della festa per vendere le sue oche. L’abito nero un poco stretto, calzoni sopra la caviglia, zoccoli chiusi e un cappellaccio in testa. Da allora questa maschera ha caratterizzato il nostro carnevale fino all’ultima edizione. Negli ultimi trent’anni fino alla sua dipartita, durante il carnevale a Crema, il signor Cechino Risari ha impersonato questa tipica maschera cremasca, si vestiva da contadino, con un cappello in testa e girava con un cestino con dentro un’oca.
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