Crema, 23 settembre 2025

"Ricordare Gervasia, oltre a essere un tuffo nel mio passato, è un atto di omaggio a una figura per me addirittura mitologica, per il suo essere una religiosa fuori dagli schemi, rivoluziona- ria, oltre ogni convenzione".

Il nuovo libro di Gabriele Moroni, con Emanuele Roncalli, scandaglia la vita di suor Gervasia Asioli, religiosa nel carcere di Rebibbia. Suor Gervasia Asioli, orsolina delle Figlie di Maria Immacolata, figura storica nel mondo del carcere, ha speso la sua vita negli istituti penitenziari. Una donna controcorrente, senza pregiudizi, spesso scomoda, che ha fatto del precetto «visitare i carcerati» la sua missione. A lei sono state indirizzate queste lettere straordinarie e inedite, scritte da ergastolani, pluriomicidi, ex terroristi, grandi falsari e altri detenuti eccellenti. Spiccano i nomi di Francesca Mambro, Valerio «Giusva» Fioravanti, Gilberto Cavallini, Domenico Papalia, Vincenzo Andraous, Dario Mariani, Giuseppe Mastini «Johnny lo Zingaro», Alfredo Visconti 'Fantomas'. 

Suor Gervasia era politicamente scorretta, perseguiva un solo obiettivo: il bene dei detenuti. Non era in alcun modo interessata a chi fossero e a cosa avessero fatto. Lei era interessata al loro presente, alle loro condizioni dietro le sbarre. Riteneva che le carceri fossero un inferno e che il suo obiettivo fosse alleviare quelle pene.

"Non ricordo come l’ho conosciuta - rammenta Simonetta Matone, - probabilmente si presentò a me quando facevo il magistrato di sorveglianza a Roma – lo sono stata dal 1982 al 1986 – semplicemente bussando alla mia porta. E da lì iniziò un lungo tratto di vita insieme".

Suor Gervasia apparteneva all’ordine delle Orsoline, ordine assai raffinato, aveva insegnato al liceo Massimo, quello dei gesuiti, quello delle élites. Viveva in un convento in circonvallazione Clodia e aveva una speciale deroga alle regole dell’ordine, datole dalla madre superiora, che le consentiva di stare fuori tutto il giorno.

Lei riteneva importante la preghiera, ma fino a un certo punto, perché poi bisognava essere consequenziali con l’essere cristiani. Il suo essere una cristiana militante era stare dalla parte dei detenuti e con i detenuti.

Quindi cosa c’è di meglio che diventare amica, molto amica del magistrato di sorveglianza?

"La prima cosa che mi colpì di lei - prosegue la Matone - fu la sua abitudine a spostarsi non in autobus o in taxi, ma con l’autostop. Intuizione geniale, perché si fermavano tutti, ma proprio tutti. Si piazzava all’angolo di piazzale Clodio e chiedeva passaggi. Quasi sempre trovava chi la portava fino a Rebibbia. Lì andava da tutti, ma aveva una predilezione per gli ultimi degli ultimi, che all’epoca erano i transessuali, operati e non. Nessuno li voleva, nessuno se ne occupava. Lei organizzava la lettura del vangelo il sabato pomeriggio per loro. Una volta mi telefonò dal San Camillo per dirmi che stava facendo assistenza a una persona che aveva cambiato sesso e che non aveva nessuno che le desse una mano per le incombenze materiali. Più eri disgraziato, sfortunato e abbandonato più era facile che ti imbattessi in lei".

Per esempio?

"Ricordo il suo rapporto speciale con Mario Appignani, Cavallo Pazzo, quelli della mia generazione se lo ricordano bene. Un disturbatore seriale, che interrompeva eventi, gridando, mettendosi al centro della scena. Era ovviamente anche amico mio e la cosa più tenera che ricordo è che i due mi chiamarono insieme perché lei lo stava accompagnando a comperarsi un vestito a via Cola di Rienzo. Lui era un figlio di nessuno, vissuto in un orfanotrofio e voleva provare l’emozione di comperare un capo di abbigliamento con una 'mamma'. In quell’accompagnare Cavallo Pazzo c’è tutta Gervasia. Ora che entrambi non ci sono più pagherei per vederli lì a discutere su cosa stesse meglio a Mario. Sono certa che lei non indagò in alcun modo sulla provenienza del denaro".

Qualche ricordo particolare?

"A proposito dell’aborto diceva: la vita va difesa sempre. Però bisogna essere in grado di difenderla anche dopo che i bambini sono nati. In questa acuta e stravolgente affermazione fatta da una suora, c’è tutta lei, Gervasia. È stata lei a farmi conoscere situazioni estreme, storie drammatiche che mi hanno accompagnato per tutta la vita. È stata lei a farmi conoscere Franca Rame, un’altra 'folle', come me e lei, per le galere e ricordo ancora un pranzo a Trastevere di noi tre. Franca era all’epoca assai famosa e tutti ci guardavano incuriositi. Io credo fermamente nel paradiso e sono convinta che Gervasia, col suo inconfondibile accento veneto, starà perseguitando nostro Signore per far entrare chi, per quello che ha combinato in vita, avrebbe per certo la porta sbarrata".