Crema, 28 gennaio 2025
“57 anni di droghiere”.
A tu per tu con il droghiere storico di Crema: Amilcare Cazzamalli.
È lui il primo protagonista del progetto Persone-Storie di Crema presentato dal Centro di Ricerca Alfredo Galmozzi.
Il video diffuso sui social, con le riprese di Michele Mariani e Francesco Pavesi, ha presentato l’intervista ad Amilcare, 87 anni, a cura di Anna Maria Piantelli e Annalisa Andreini, due socie e membri del consiglio direttivo del Centro Galmozzi.
Un uomo con una gentilezza di altri tempi, che ha raccontato con parole piene di emozioni un pezzo di storia cremasca, tra ricordi e oggetti conservati nel tempo e densi di significati.
Quanti anni ha lavorato nella sua drogheria?
“Originariamente era la drogheria Labadini, fondata nel 1896, poi nel 1940 mio padre Pietro l’ha ritirata e così abbiamo cominciato il nostro lavoro fino al 2006. Era una bella drogheria, con tre grandi vetrine (dove ora sorge il bar Mostaccino) in cui si vendeva di tutto, dalla a alla zeta, dall’acetone allo zolfo. Avevamo un’ampia gamma di liquori e vini, vari tipi di cioccolato, caramelle e zuccherini, spezie, tè e caffè e anche il carburo, con cui poi scherzavamo noi ragazzi.
Per impacchettare si utilizzava la “carta sugherina”, come si diceva in dialetto, che so ancora piegare. C’erano i rappresentanti che passavano in negozio ma con tante aziende ci sentivamo anche per telefono, per esempio con la signora delle caramelle “Leone” di Torino.
Dopo la seconda guerra mondiale c’era davvero la miseria in città: le donne venivano a prendere la salsa di pomodoro misurando le dosi e noi facevamo anche il sapone per lavarsi. Un falegname mi aveva creato dei comparti per solidificarlo.
A Crema all’inizio eravamo più di 20 drogherie, poi sono scese a 17, 10, 5 finché sono rimasto da solo”.
Come è diventato famoso per i tortelli?
“I tortelli si facevano a Natale, a Pasqua e alla sagra. Io vendevo tutti gli ingredienti per prepararli, compresi l’uvetta, il cedro e il Marsala secco, in base alla dose che le massaie mi richiedevano. Dalla latta di amaretti Gallina di 2 kg e 3 etti venivano fuori 10 kg di tortelli. La ricetta era quella della mia nonna, originaria di Vaiano, dove i tortelli si chiamavano “lepe” (in dialetto) ed erano il doppio, come dimensioni, rispetto ai tortelli di oggi”.
Ma quando è arrivato il tortello a Crema?
“Lo riporta il Benvenuti nel suo libro, che ricorda uno scritto del Cinquecento, in cui i tortelli erano stati offerti in un pranzo speciale. A Crema c’erano 30-40 signorotti con possedimenti e, nelle occasioni in cui i tortelli si mangiavano, ognuno portava la sua ricetta. Pertanto è impossibile che ne esistesse una sola. È venuta col tempo, dopo la guerra”.
Alcuni momenti curiosi della sua professione?
“Un episodio simpatico: quando mi arrivavano le damigiane di Marsala Florio dalla Sicilia lo trasferivano nelle bottiglie... tra un assaggio e l’altro e alla fine eravamo tutti allegri! Oppure, mi ha fatto molto piacere quando è venuto a trovarmi il vescovo Cambiaghi, che ha voluto vedere tutto della mia drogheria. Un’altra cosa mi viene in mente: davanti alla drogheria c’era la fermata del pullman e arrivavano gli abitanti di Vaiano, chiamati in dialetto i “pamoi ”, perché la chiesa ha una statua religiosa che regge una ciotola con del pane per i poveri”.
Cosa ne pensa del mondo di oggi rispetto ai suoi tempi?
“Ora è tutto un altro mondo: allora magari si attaccava lite ma si faceva pace subito e ci si voleva più bene. Adesso siamo diventati più individualisti e ognuno pensa a sé stesso e cerca di fregare gli altri, se può. Riguardo al lavoro io avevo un dipendente, poi sono rimasto solo perché non c’era più tanto lavoro. Mi dava però una mano mia moglie, soprattutto per fare i cesti natalizi. Quando faceva i sacchetti di cioccolatini sparivano subito. Adesso è tutto meccanizzato: abbiamo perso la poesia. Mi piaceva tanto il contatto con la gente e quando ho chiuso un dipendente ha attaccato fuori un cartello con la scritta: Si è spenta una stella”.