Crema, 28 luglio 2024

(Bernardo Zanini) La polenta è stato il piatto di base per l’alimentazione contadina nelle campagne cremasche, è diffusa in tutta l’Italia grazie ai suoi ingredienti semplici e alla portata di tutti. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, gli antichi Sumeri la preparavano con miglio e segale, i Greci con la farina d’orzo e i Romani usavano il farro macinato per preparare una polentina morbida chiamata pultem. Agli inizi del '400, a Venezia si preparavano gli zaleti, dolci a base di farina di mais gialla. Furono i veneziani a importare, tramite scambi commerciali, il mais nel Friuli e venne chiamato granoturco perché probabilmente veniva dalla Turchia.

Nel 1521 un contadino di Costa Volpino fu il primo a piantare il granoturco nel suo orto e poi rapidamente si diffuse nel bergamasco e nel cremasco. Nelle nostre campagne i nonni raccontavano che la polenta si mangiava sempre in tutte le stagioni, nelle famiglie contadine i la faa còs nal stignat sél camì. Poi la rovesciavano sulla tavola di legno e in mezzo alla polenta si metteva un po' di condimento, e tutti i componenti della famiglia si sedevano intorno al tavolo e a turno prendevano con le mani an tòc da pùlenta la intingevano nel condimento e la mangiavano, inaffiata tutti i giorni col pisarélo, un vino leggero fatto con l’acqua del fosso.

Una volta la settimana quant i regiùr andavano al mercato a Crema, compravano un’aringa o un pezzo di merluzzo che i la faa rustì sel fòc, poi lo appendevano con una corda al soffitto, in modo che penzolava al centro del tavolo. Poi quando mangiavano, ogni componente della famiglia, prendeva un pezzo di polenta e la sfregava sul merluzzo fritto e la mangiava. Finito il pasto il merluzzo o l’aringa veniva tolto e conservato per il giorno dopo e al finia mai.

Mia nonna Gina di Ripalta Guerina, raccontava che al mattino mangiava polenta e latte, e al disnac, pùlenta coi fasòi menat, pùlenta col l’ole da linùsa, col zòla, coi virz e alla sagra pùlenta con an culumbì rustit. Il mio bisnonno paterno di Madignano, Oreste, negli anni 30 aveva un terreno all’Oriolo e andava col biroc con tacat an sùmar che chiamava “Ministro”; mio padre Gino da Crèma e suo cugino Gino da Madignà, gli portavano da mangiare tutti i giorni con na pignattina con dentre pùlenta e stùfat ol pulastre arost. Quando arrivavano, il desinare era sempre freddo e alùra al zio Oreste al ciapàa na stropa an mà e gli diceva: bilòt da bilòt n’dù sif andat, a fa pasà tòte le rie?

Chi mangiava meglio in campagna iera i fitaui o fittavoli, mangiavano pulènta con gl’ oss bùs, col stùat, con le custine da roi e al dùbass i mangiaa la pùlenta rustida a merenda.

Durante la prima guerra mondiale del 15/18 a Ripalta Vecchia del Marzale c’era un recinto con degli ufficiali austriaci prigionieri, sorvegliati da una sentinella. Tutti giorni una contadina del posto, gli portava da mangiare la pùlenta sùrda, uno dei prigionieri si lamentava dicendo che davano da mangiare la polenta come ai maiali. La contadina rispose che era il loro piatto tradizionale e che non c’era altro, o mangif la minestra o saltif la finestra…

Ma a Crema c’era anche chi mangiava la polenta fritta, pùlenta fritta col sòcher, una vera leccornia per la merenda dei bambini. Nelle pasticcerie di Crema come nella pasticceria Dossena di via Mazzini, era sempre in vetrina la polenta dolce con gli osèi di zucchero. di origine veneta.

Ultimamente alcuni ristoranti la propongono fritta col lardo o con le custine da roi che, secondo i vecchi dottori, aveva anche la proprietà afrodisiaca per gli uomini di tutte le età.

 

La pùlenta

l’è n’piat dai rè

e ògnì i la fa per sé,

se ta ghét an cudegì

ta fet an pùlentì,

se ta ghèt an capù

ta fet an pùlentù,

colda o n’panàda

la pùlenta

la ralegra la giùrnada.