Crema, 21 gennaio 2025

(Annalisa Andreini)

“Diario da un monastero. Parole di un ateo in cammino” è il nuovo libro del maestro Alex Cornazzoli, giornalista, viaggiatore, polemista e scrittore, con la presentazione a cura di Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose. Sabato, la presentazione sui generis, negli spazi della Libreria Ubik di via XX Settembre, ha visto l’autore chiacchierare con Gherardo Colombo (ex magistrato del pool di Mani pulite nonché amico di Cornazzoli e compagno di tante battaglie contro la mafia) e con il moderatore don Emanuele Barbieri, parroco di Capralba e Farinate.

“Una sala piena di tante persone, amici, ex compagni di classe, lettori e persino avversari - dichiara Alex - con l’originalità di un prete che vestiva i panni dell’intervistatore e che ha iniziato proponendo a me e a Gherardo di descriverci con tre aggettivi: radicale, mediocre e vecchio per lui, folle( come mi chiamano spesso i miei alunni), birichino( come mi definiva la mia maestra) e ribelle(come amo definirmi io) per me. Tra l’altro devo ringraziare don Emanuele, che mi ha insegnato che rassegnarsi significa riassegnarsi e trovare un nuovo posto nel mondo. La mia è un’esistenza scarabocchiata, non un linea retta”.

 La coinvolgente presentazione ha toccato poi i vari temi del libro, soprattutto la solitudine e il silenzio, che si respirano in un monastero: “Come si fa oggi a non perdere la speranza?-continua Cornazzoli. La fraternitá è un esempio del monachesimo come modello della società, anche per superare gli ostacoli, e invece nella nostra realtà manca proprio il senso della fraternitá nei luoghi di lavoro, nella vita quotidiana e nelle relazioni personali”. 

Quali altri temi avete trattato?

“Abbiamo parlato della cella perché io ho vissuto tre mesi nella cella di un monastero. Il tempo e lo spazio nella cella cambiano e bisogna imparare a vivere in solitudine. Il silenzio diventa protagonista e compagno. Cella del monastero e cella di una carcere, pur avendo qualcosa in comune, sono molto diverse fra loro. I monasteri sono molto spartani e vige la regola di San Benedetto: in ogni cella ci sono solo un letto, un tavolino e una lampada. Alle 20.30 suona una campana e ognuno si ritira nella propria cella fino alla mattina successiva alle 5.30. La quotidianità viene dettata dalla consuetudine creando quell’essenzialità che va a scontrarsi alla frenesia odierna”.

Si è aperto poi un quesito particolare: c’è più giustizia nella Bibbia o nella Costituzione?

“Per Gherardo - continua Cornazzoli - nella Costituzione, mentre a me piace pensare che siano “giusti” entrambi i libri su cui pregava don Gallo, sia la Costituzione scritta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale sia la Bibbia, che è la somma di tanti libri scritti in momenti diversi”.

Il libro che ha presentato è basato sulle parole: 30 parole in 30 giorni diversi. Perché?

“Sopravvivere non è stato semplice, soprattutto durante le prime sere, in cui ho anche pianto.

Allora, per sconfiggere i momenti più tristi, ho cominciato a scrivere quello che provavo e a rielaborare quello che sentivo. Provavo quindi il desiderio di scrivere ogni giorno una parola, anche perché mi sono accorto che c’era curiosità intorno al mondo del monastero e le parole potevano diventare compagne di vita. A volte si immaginano i monasteri come luoghi tristi e invece non è così: si può leggere, scrivere, coltivare l’orto, ascoltare il suono delle campane. Sono importanti polmoni di bellezza, preghiera, cura e ospitalità. Sono stati i due mesi più belli della mia vita”. 

Cosa l’ha spinto a fare questa esperienza?

“Pur credendo di essere ateo ho scelto un monastero per fare, diciamo, come un tagliando alla mia vita a 50 anni con l’idea di diventare una persona migliore. Poi però, seguendo la mia guida spirituale Emiliano, mi ha colpito una frase molto importante: più che migliorare dobbiamo imparare ad accoglierci per quello che siamo. Nel complesso è stata un’esperienza meravigliosa: ho pianto quando sono arrivato ma anche quando sono andato via. Ho regalato ai monaci Emiliano, Valerio, Dario e Adalberto un crocefisso di legno, che non avevano, e loro mi hanno donato il Norcino che realizzano”.